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Dematerializzazione, digitalizzazione, dati, tanti dati. Sono questi elementi a segnare il passo di una trasformazione digitale epocale, leit motiv dell’ultimo decennio e in cui la scienza dell’informazione è sempre più smart e vede i diversi devices come asset fondamentale in ogni realtà aziendale.

Ogni impresa ha il suo percorso, già avviato, in partenza o in ottimo stato di avanzamento e il tema resta sempre lo stesso: la capacità di fare i giusti investimenti tecnologici per incentivare la migliore efficienza del business.

Tuttavia, la tecnologia non basta più e va necessariamente ad affiancarsi a concetti etici che riguardano a più livelli il mondo degli algoritmi, delle intelligenze artificiali e della sostenibilità.

L’etica dell’informatica ha radici negli anni ’70 e una concreta “applicazione” negli anni ’90, in cui vennero definiti i comportamenti (i dieci comandamenti dell’etica informatica) da tenere relativamente all’utilizzo degli strumenti informatici e con l’avvento del web 2.0, la raccolta dei dati personali e i social network, sono stati ampliati per regolamentare i nuovi spazi di conversazione globale. Ma non si tratta solo di questo.

Il lato “human” della trasformazione digitale.

Parliamo di migliorare la comunicazione uomo-macchina e macchina-macchina. E in tutto questo come si colloca il lato umano dell’informatica?

Ebbene sì, è importante ricordarci che dietro a ogni macchina c’è sempre una persona (o, semplificando enormemente, dietro a ogni schermo) e, se ci fermiamo un momento a osservare i trend di marketing e di mercato, è facile notare come la logica della trasformazione digitale in atto esige una predominanza di esperienze personalizzate, consigli e suggerimenti su misura, il metterci la propria faccia, in tutti i sensi. La trasformazione digitale ha un impatto se personalizzata. Ci siamo prima di tutto noi. Siamo in rete, siamo in relazione. Siamo nodi più o meno influenti della nostra rete.

Etica, lato Human e?! Sì, manca qualcosa. Il salto diventa doppio se aggiungiamo a queste dimensioni quella di una ecologia digitale dell’infosfera.

Ai posteri l’ardua sentenza.